lunedì 5 aprile 2010

Il mio cuore è una vecchia teiera di coccio rosso.
milioni di volte l'ho messa sul fuoco, nella mia casa.
Qualche volta l'acqua ha cominciato a bollire. Ho sentito la teiera borbottare, tremare, fischiare.
Eppure il the non è stato preparato.
Un'infusione perduta.
Il fuoco spento sotto la curva panciuta.
E l'acqua ha dovuto raffreddarsi, la teiera svuotarsi, per essere riposta nuovamente nell'armadietto segreto.
Qualche volta, invece, dal bricco scarlatto ho potuto versare la bevanda profumata. Ma era tiepida, era senza profumo, senza sapore.
E l'ho gettata via. Io stessa.
Non è valsa la pena.
E allora il bricco rosso è stato ancora incartato e riposto al sicuro, sotto chiave.
Questa volta, ancora, la vecchia teiera di coccio rosso ha tremato, gorgogliato, gridato e il the preparato ha avuto un profumo intenso e allo stesso tempo delicato, inebriante.
Odorava di promesse, di futuro, di tempo condiviso, di lenti gesti d'amore.
Un the fatato.
Ma sempre, per qualche motivo, quel the si è gettato sul pavimento.
Ha lasciato una macchia sul tappeto.
Sul mio tappeto preferito.
Oggi, ho preso la teiera fra le mani, l'ho sentita scottare, l'ho lasciata andare.
Il vecchio bricco rosso ha urtato sul tappeto, sul pavimento.
S'è sbreccato.Il mio cuore si è sbreccato,vecchia teiera di coccio rosso.
Il bricco si raffredderà forse.
forse.
Sarà riposto, forse.
Riposto nel ripiano più alto e segreto, sotto chiave.
E resterà lì, per lungo tempo. Forse.
Ma ora, ora che il the è andato buttato e resta quel rimpianto profumato di spezie, ogni attimo un'unghia bianca di coccio nudo sul rosso smaltato mi guarda e ricorda che nessun tempo può far dimenticare quella crepa. La teiera è sbreccata.
E anche quando, e se, io l'avrò riposta su quel remoto ripiano, il mio vecchio bricco di coccio rosso resterà ferito.

sabato 3 aprile 2010

Dolore

Ed i passeri cinguettano
sulla tua lapide fredda
ancora nuda
e sulle nostre teste incredule.
Il freddo marmo non parla,
non ride, non imita
ogni nostro sciocco gesto,
il freddo marmo non ci irride
con mani esili e gesti irripetibili.
Non c'è fiore che tenga
o sole che plachi questa
solitudine famelica
che ci divora le mani
e gli occhi.
Ed il dovere di vita
ci sfiora soltanto oggi,
qui,
davanti a questa scatola
infame
che serra il tuo corpo esangue,
sulla terra che può avvolgerti calda
e materna.
Qui, oggi,
si sente solo l'eco
delle nostre risate perdute
e un vuoto.
Un eterno, nero vuoto.




Michele


31/3/1989 - 20/3/2010