giovedì 21 febbraio 2013

grammatica di un gioco

Accartoccio il mio mondo e te lo lancio.
Con un gesto disattento lo scacci, come fosse una mosca.
Leggerezza sgrammaticata che a me manca.
In un gioco che cambia regole continuamente, a comando di uno dei partecipanti, chi vince alla fine?
Indovina.
Che vuoi che sia!






Ci vuole molta pazienza, ma io non ce l'ho: sono fuori orario di lavoro.















lunedì 18 febbraio 2013

Skinny Love

Ed eccomi.
immersa in un oceano di lenzuola blu, perduta in un mare di pensieri fra il serio e il faceto.
Quando sprofondo nel mio scompiglio, poi esplodo macchiando i muri di un verde-azzurro senza codifiche.
E' bastato parlargli.
"tu. io."
"hai detto. ho detto. non ti credo più"
"facevo bene a non fidarmi di te."
"non so che dire"
Dio mio, siamo i personaggi di un romanzo scadente.
Esci dal mio letto disfatto e ipocrita.
Non lasciare nemmeno un biglietto su quel cuscino che non ti appartiene.
Io lo sapevo già.
Esci dalla mia mente, come dal mio letto.
Vigliacca scelta quella del silenzio. Eloquente.
Sono arrabbiata, hai ragione.
"mi stai facendo le paranoie? non va bene"
e chi decide se va bene? tu?
Ma fanculo.
Lo considero un antidoto, questo ultimo dialogo.
Esorcismi tardivi. Pur sempre esorcismi


Good bye Skinny Love.

http://www.youtube.com/watch?v=ssdgFoHLwnk


venerdì 15 febbraio 2013

e mi sento addosso un senso intenso di sconfitta e solitudine profonda.

oggi ballavo. oddio. seguivo una lezione più che altro.
flamenco.
ecchettelodicoaffare.
e pensavo (ma forse era meglio se mi fossi concentrata sulla lezione).
che poi, non è che qualche lezione di flamenco mi renda una ballerina.
e non è che una notte in cui mi libero dei pensieri mi renda una persona che non si fa troppi problemi.
e qualche giorno fa ho deciso definitivamente "adesso basta. io non ci sto più!"
con la quasi certezza che, alla prima moina, io ci starò eccome.
perchè io sono la più grande vittima del mio storico autoconvincimento.
io non mantengo quello di cui mi autoconvinco.
e vale per le diete come per le relazioni chiuse sbattendo la porta.
e poi ricomincio, mi autoconvinco che delle piccole deroghe siano normali.
pensa tu.



e mi sento addosso un senso intenso di sconfitta e solitudine profonda.



mercoledì 13 febbraio 2013

madama Dorè

Un'unghia di luna mi gratta la schiena sul balcone di casa mia.
Che poi lo sanno tutti, non è casa mia. E' solo una stanza. E non è mia.
Diciamo che pago per starci. Diciamo che è il meglio che posso avere.
Diciamo che è sempre una questione di soldi.
E dicono, ma cosa te ne sei andata a fare da casa dei tuoi, dicono.
E io che spiego (che poi perchè spiego?). Eppure è così evidente.
E tutti giù che pensano si tratti di scopate in libertà, festini e orari folli.
E io che invece non faccio nulla di tutto ciò (dovrei iniziare?).
Lavoro (molto), guadagno (poco), c'ho un'età (oddio!).
Che dovevo aspettare?
Il matrimonio, ovvio!
Diomiocheideatardoottocentescaedesplicitamentemaschilista!
L'unghia di luna mi gratta la testa.
C'ho i pensieri stasera.
Mha...saranno i peperoni ripieni.

martedì 12 febbraio 2013

Ho comprato un vestito nuovo oggi. Nero e leggero. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto. Lascia la schiena scoperta e scivola sulle gambe irrequieto. Ho pensato a come mi avresti guardata. Ho pensato a come mi avresti toccato la schiena.
E poi mi sono ricordata che non sono nulla. E ho sepolto il vestito in fondo all'armadio.

solo una canzone.

C'è una canzone che mi accompagna da giorni.
Nella notte buia e senza sogni risuona scivolosa e sussurrata.
E' nelle mie orecchie, nei miei occhi, fra i miei capelli e sui miei fianchi tondi.
Non è un pezzo di storia del rock, non si tratta di Beetoven o di Strauss.
E' una voce che mi parla nella nuca, in un fiato caldo e roco, che mi scivola giù nella schiena fino alla fossetta sui lombi.
E' un sospiro di donna sensuale e disperato che mi ipnotizza e mi seduce.
E' quel pensiero sepolto dietro i ruderi del passato che gratta contro la porta per entrare, come un cucciolo che si finge innocuo.
Silenziosa, mi nascondo il viso dietro le dita e fingo di non sentire.
Non so come difendermi.
La canzone mi violenta la mente.
Desidero quel pensiero, quell'incontro, quel gioco di dita, labbra, sudore.
Voglio musica, pelle di velluto, capelli di seta.
Proprio mentre un trillo mi ricorda di quelle domande che grattano dietro la porta. Ma io non aprirò.






https://www.youtube.com/watch?v=hqWC1awU0UI

da diario cartaceo


domenica 10 febbraio 2013

Almeno chiamalo scopare

La donna, rannicchiata sul divano, gli permise di posare la testa sul suo collo.
Erano mesi che non si vedevano ma anni che si conoscevano.
In silenzio guardavano lo schermo riflettere immagini superflue. Sapevano dove il respiro li stava conducendo. E non sapevano se anche questa volta avrebbero potuto fermare quel flusso.
Quando inclinò la testa verso l'alto, la vide inumidirsi le labbra con la punta della lingua e non potè farne a meno: allungò il collo fino ad azzardare un bacio.
Lei, inaspettatamente, dischiuse le labbra già umide e lasciò che l'uomo le entrasse nella bocca.
Flessuoso e ancora incledulo si voltò per baciarla con più facilità e si ritrovò su di lei, vorace.
"Voglio fare l'amore con te..." le disse soffiandolo sulle sue tempie.
La sua mano scivolò sotto la sua gonna, a scovare il confine segnato dall'orlo delle autoreggenti nere.
Quando riaprì gli occhi neri e asiatici si ritrovò negli occhi grandi e bruni di lei, si immobilizzò, tenendola ancora fra le braccia, e pronunciò poche minuscole sillabe.
Buttò via un "e domani?".
E dietro c'era tutto un florilegio di domande, credenze, fallimenti e desideri.
E lei non volle sentire, non volle sapere.
Forse perchè già sapeva.
Si aggrappò alle braccia sottili, ai fianchi stretti, agli occhi sottili, al membro vigoroso.
Si aggrappò con i suoi fianchi tondi, con le dita lunghe, con i ricci cangianti.
Si aggrappò a una bugia, a una speranza.
E fece l'amore. E fu una cosa sola. Su e giù, dentro e fuori, nel suo caldo nido lo sentì gemere e venire come un fiume in piena.
E poi lasciò andare.
La mattina dopo, il giorno dopo, settimana e mese dopo.
Lo lasciò andare.
Lo sapeva, lei, che non c'era nulla da tenere stretto, oltre quel cazzo nella notte fredda e senza speranza.
"Però", si disse durante un sogno di giorni dopo, "almeno chiamalo scopare."